L’Amore o l’amore?

servizio-ale-menfi-9-400x600 di Alessandro D’Avenia

(dalla rubrica “Letti da rifare” del Corriere della Sera)

Nel quotidiano vivere di rado l’Amore si mostra apertamente, come un dio. È accaduto nella cerimonia dei moderni immortali premiati con auree statuette. Quando il glaucopide Cooper e Lady Gaga Circe hanno cantato Shallow, tutti hanno visto, saputo, desiderato: Amore. Era lì, sotto gli occhi dei mortali, nell’aria che divideva e univa i due. L’amore ha nel fuoco la sua metafora prediletta: si sprigiona quando i pezzi a bruciare sono due, proprio nello spazio di contatto-distanza passa l’aria che alimenta la fiamma. E tutti, quella sera, hanno visto la Fiamma dell’Amore. Uno di quei momenti in cui il sacro si mostra apertamente, quel sacro la cui assenza è la tristezza del nostro cuore e la cui distanza è la sua malinconia. Noi liberiamo e impegniamo le nostre energie solo per ciò che è sacro, perché la vita diventa viva solo quando supera se stessa e abbandona la superficialità e le acque basse (shallow) della sicurezza. Il nostro istinto di sopravvivenza è istinto di sopra-vivere, cioè di vivere oltre, in altezza e profondità: cerchiamo l’estasi che ci dimostri che possiamo non morire, perché non siamo solo materia mortale. Cerchiamo di sopra-vivere nel lavoro, nel divertimento, nella religione, nella natura, nella cultura, nei figli, nel successo, nel potere, nei soldi… e in tutto ciò che sembra soddisfare la sete di trascendenza (da trans-scandere: salire oltre), la scala per la sopra-vita: la vita che con il tempo non si rovina, anzi si rinnova e cresce. Dov’è questa vita? Ovunque ci sembri di poter non morire. Così ci sono apparsi Gaga-Cooper: immortali, avvolti nella Fiamma d’Amore.

Nel 2018 Gad3 ha elaborato una ricerca globale sui gusti dei ragazzi tra i 18 e i 29 anni, e il film più visto (88%) è risultato Titanic. La pellicola del 1997, più di 2 miliardi di incassi (seconda solo ad Avatar), domina l’immaginario amoroso giovanile da vent’anni. L’amore tormentato tra Rose e Jack, ostacolato dalle marcate differenze sociali tra i due, è l’Amore: l’abbraccio, sulla prua e sulle note di Celine Dion, è diventato l’icona contemporanea del desiderio. Ma perché proprio questo Amore è oggi l’amore? Il cristianesimo diceva che Dio è amore. Titanic mostra invece che Amore è dio: l’unico che può salvarci dalla nostra relatività e senza il quale non possiamo ritenerci «vivi». «Ho bisogno di sentirmi vivo» è infatti diventato sinonimo di «voglio innamorarmi». In questo quadro non è più il legame di coppia che realizza (cioè rende reale) l’amore, ma l’Amore che realizza la coppia. Le persone sono i suoi felici «burattini»: si uniscono, si lasciano, cambiano, non importa, ciò che deve rimanere sempre vivo e rinnovarsi non è il legame, ma il Sentimento Amoroso. Se il bisogno di sentirsi amati è il rimedio alla precarietà della vita, se nulla dà consistenza all’io, l’Amore rimane la sola sicurezza in un mare di insicurezze: a questo Sentimento i giovani chiedono la loro sopra-vivenza. É il dio che libera dai nemici di dentro e di fuori: l’altro è il tramite dell’Amore che ci fa sentire degni di esistere, bellissimi e liberi dal male. A cercare l’Amore sono, per paradosso, i giovani: proprio nel momento in cui lottano per rendersi autonomi, affermando la loro identità, cercano un legame che di fatto va contro quella fame di autonomia. Desiderano protezione, sicurezza, riconoscimento per quell’io che stanno ancora provando ad accettare e affermare. Si sentono inadeguati e instabili, e chiedono a un altro, idealizzato come un dio, di renderli «adorabili». Non cercano l’altro perché è un altro, diverso da loro, ma perché li adori. Fin qui tutto bene, è una tappa dell’adolescenza, ma l’Amore sembra coinvolgere non solo l’età dei primi e sconvolgenti turbamenti del cuore. Però l’Amore non è «tutto» l’amore, infatti quello tra Rose e Jack, di fatto, non diventa mai reale: resta un amore sognato, un miraggio. Perché?

L’innamoramento ha una carica di idealizzazione fortissima, e l’Amore vuole fermarsi a questa fase, cristallizzare l’esaltazione di sentirsi unici e soli al mondo. Scoprire di avere un valore, sentirsi importanti o addirittura indispensabili per qualcuno fa «impazzire», manda «fuori di testa», ma al tempo stesso fa dipendere dall’altro, dando origine a una contraddizione: per avere valore ho bisogno di un altro senza il quale scompaio. L’Amore è una prigione con tutti i comfort. Eppure quella carica di idealizzazione, nonostante non sia una meta in sé, ha una funzione positiva, di spinta nel futuro: per «rischiare il futuro» con qualcuno ci vuole un’energia «folle», che a poco a poco si trasforma in nutrimento per un legame che rende se stessi, senza imprigionare, che dà valore, senza far dipendere. L’idealizzazione dell’altro («lui/lei è perfetto/a!») dà il coraggio di aprirgli il proprio mondo, ma per chi ancora non conosce il suo valore e non ha un mondo interiore autonomo — per l’appunto gli adolescenti — la sete può accecare e creare il miraggio: io non esisto se non nell’altro, che «voglio» vedere perfetto perché non si rompa l’incantesimo della sicurezza. Si capisce quindi perché l’Amore, l’amore-adolescenziale (e, ripeto, non è questione di età) cerca contatto e rassicurazioni costanti, perché è il Sentimento stesso a costituire e sostituire il legame. Ma proprio questo, a lungo andare, impedisce di lavorare sulla relazione, parola che viene da re-fero, portare qualcosa in uno spazio che separa: dove c’è fusione non c’è spazio per dare e ricevere. Un legame è la corrente che passa tra i due poli, il fuoco che si sprigiona tra i due ciocchi. La fusione invece teme la distanza, la differenza, la negatività della vita… l’altro non è mai altro da me, ma una proiezione di me. L’Amore, tra idealizzazione e fusione, non libera le risorse creative ma le blocca, rassicura ma non fa crescere, come invece accade nei legami profondi che maturano tra dolore e perdono: «Perdonami se ti cerco cosi / goffamente, dentro / di te. /Perdonami il dolore, qualche volta. / E che da te voglio estrarre / il tuo migliore tu», dice Pedro Salinas all’amata.

L’Amore invece teme la vita quotidiana, si cristallizza nell’esaltazione, cercando momenti assoluti (come il naufragio nel film). Alla prova del tempo, se non matura in legame, diventa il suo contrario: l’Odio. Per rompere la fusione serve infatti un sentimento di pari intensità: se valgo solo perché c’è l’altro ne divento schiavo e, se non è più come mi aspettavo, me ne devo liberare. Col tempo emerge che l’unicità dell’altro non è perfezione ma fragilità, difetti, errori, che dissolvono l’illusione che possa garantirmi il valore che non trovo in me. L’idealizzazione, solo se usata come energia per con-dividere, si trasforma in reciprocità, uno scatolone in cui ciascuno trova il coraggio di mettere ciò che ha di più proprio e lo fa diventare comune: quello scatolone è la relazione e più è pieno e pesante più la relazione è forte. Invece è vuoto lo scatolone e debole la relazione basata sul «sento» o «non sento più nulla», in balia degli alti e bassi del Sentimento riferito al proprio ego: non è cresciuto invece il «sentire» il valore dell’altro proprio perché si ama il suo modo “altro” di essere. La coppia non cresce in funzione del Sentimento, ma è il Sentimento a crescere in funzione del legame, che si approfondisce quando si apre lo spazio in cui interessi, ideali, storie, ferite, sogni, difetti e progetti personali, diventano comuni. L’Amore adolescenziale esclude il mondo: tutti siamo stati distrutti da quell’ossessione, abbiamo smesso di dormire e studiare, trascurato amici e interessi. L’Amore non attiva le risorse interiori per dare valore all’altro per quello che è, non ha il coraggio di fare lo scatolone della reciprocità, in cui le cose non sono più solo mie. Le coppie più belle che conosco hanno un amore che va oltre loro e trabocca sul mondo, anziché escluderlo: hanno figli, tanti amici, la loro casa è aperta e le loro personalità, sempre più spiccate e compiute, si illuminano a vicenda. L’intimità non è nella idealizzazione-fusione, illusione di sconfiggere la paura della solitudine o del vuoto interiore, ma in una faticosa e appagante reciprocità, che porta l’altro «al suo migliore tu» attraverso il dono di sé: «al mio amore risponda / la creatura nuova che tu eri», conclude Salinas. L’amato trova il coraggio di superarsi e diventare se stesso proprio grazie all’azione dell’amante: sopra-vive per amore.

Il letto da rifare oggi è Titanic. Immaginate di far naufragio, domandatevi se sapete che oggetto salverebbe la persona che amate? Quale ricordo della sua vita vorrebbe ascoltare? Quali sono la sua ferita e la sua gioia più grandi? Per cosa dovreste soprattuto chiedere perdono o dire grazie? In cosa è diventato migliore o peggiore grazie a voi? Scrivete le risposte e mettetele dentro la Scatola della reciprocità: leggetevele ad alta voce, in un a tu per tu calmo, senza distrazioni. Allora sarà evidente che amare non è una reazione, ma un’azione: è il legame a fare l’amore e non l’amore a fare il legame. L’Amore affonda come il Titanic, che colò a picco proprio per la sua pretesa invincibilità, l’eccesso dei sistemi di sicurezza aveva reso l’equipaggio superficiale nel controllo della rotta di navigazione: non videro o non «vollero» vedere l’iceberg che spezzò il cuore alla nave. Solo l’amore con la minuscola — quotidiano, faticoso, bellissimo, difficile, creativo, stanco, sorridente, aperto alla vita — è una nave guidata da due capitani attenti l’uno all’altro, senza paura dell’alto mare e delle sue sorprese, una nave che arriva in porto perché è in porto ovunque.

Corriere della Sera, 4 marzo 2019